Continuiamo con gli articoli dedicata alla scrittura giapponese, fondamentali se vuoi imparare il giapponese. Dopo aver parlato dei kana (hiragana e katakana), non ci resta che vedere gli due altri sistemi di scrittura: il romaji, l’alfabeto giapponese, e i kanji, i caratteri che vengono dalla Cina. Il primo non pone alcun problema, visto che si tratta del nostro alfabeto latino; il secondo però può rappresentare un ostacolo per chi apprende il giapponese. Come memorizzare migliaia di caratteri tutti diversi tra loro? Vedremo che è possibile senza strapparsi i capelli 😉 

Articolo aggiornato il 23.5.2023

alfabeto giapponese

Cosa troverai in questo articolo?

Il romaji, l’alfabeto giapponese

La storia: aprire il Giappone all’Occidente

I romaji o rōmaji (ローマ字 = lettere romane) sono semplicemente i caratteri dell’alfabeto latino adattati al giapponese. Una sorta di alfabeto giapponese, così come noi abbiamo quello italiano derivato sempre dal latino. L’origine dei romaji è più lontana di quanto si possa immaginare: il primo tentativo di trascrizione del giapponese nell’alfabeto latino risale al XVI secolo, con i primi contatti tra Giappone e Portogallo. In particolare, sono i gesuiti che adattano il giapponese all’ortografia portoghese per evangelizzare la popolazione locale.

Dal XVII al XIX secolo, il Giappone si chiude al mondo intero sotto lo shogunato Tokugawa (1603-1867). Durante questo periodo, gli olandesi sono autorizzati a commerciare con i giapponesi e sono confinati nella piccola isola artificiale di Dejima, nella baia di Nagasaki. L’Arcipelago all’epoca non aveva più bisogno di creare un alfabeto giapponese comprensibile agli occidentali poiché gli scambi culturali ormai sono solo in un senso: anche se chiuso, il Giappone si informa sull’Europa attraverso i famosi Studi olandesi (蘭学, rangaku).

Dopo la spedizione condotta dal commodoro americano Matthew Perry e soprattutto durante l’epoca Meiji (1868-1912), il Giappone si apre di nuovo al mondo esterno. Trascrivere il giapponese torna ad essere una necessità per gli occidentali.
Nel 1887, il missionario americano James Curtis Hepburn pubblica la terza edizione del suo dizionario anglo-giapponese, in cui propone il suo metodo di trascrizione che sarà poi chiamato metodo Hepburn. Ancora oggi è il metodo di romanizzazione più usato al mondo, anche se la trascrizione ufficiale del Giappone è il metodo Kunrei.

Un aneddoto: fino alla metà del XX secolo, alcuni riformatori hanno tentato di abolire l’uso dei kanji e di passare unicamente ai romaji. Il principale argomento per la proposta era la complessità e l’arcaismo dei caratteri cinesi, là dove un alfabeto giapponese simile a quello delle potenze occidentali avrebbe costituito un vantaggio dal punto di vista dell’istruzione. Queste correnti oggi sono minoritarie.

Come usare il romaji

Non entreremo nei dettagli della scrittura dei romaji poiché, in quanto straniero, tu avrai bisogno soprattutto di scrivere giapponese nella scrittura locale.
A te i romaji serviranno soprattutto per il wāpuro rōmaji (ワープロ・ローマ字), che ti permette di scrivere il giapponese da una tastiera occidentale di tipo QWERTY. Il principio è semplice: digiti la parola nell’alfabeto giapponese e il software lo trascrive in kana o in kanji. Ti invito a installare subito questa tastiera sul tuo computer e sullo smartphone, e proverai l’ebbrezza di scrivere in alfabeto giapponese!

Ti renderai subito conto che non è molto complicato, anche se alcuni aspetti richiedono un po’ di abitudine. Ad esempio, per inserire l’hiragana ん, bisogna digitare due volte il tasto  n.

I kanji

I kanji (漢字), derivati dalla scrittura cinese, fanno un po’ paura sia per l’aspetto insolito che per il numero: la lista ufficiale dei Jōyō kanji ne conta non meno di 2136!

Al di là dei sensazionalismi, la memorizzazione dei kanji non è necessariamente difficile: devi solo adottare un buon metodo e accettare di passarci tanto tempo sopra.

Classificazione dei kanji

Per orientarsi nella jungla dei kanji, i giapponesi ricorrono a due nozioni principali: i radicali e il numero dei tratti.

I radicali, utili per raccapezzarsi

Nonostante la loro grande diversità, i kanji sono composti da elementi che tornano con regolarità: considera infatti che servono circa 200 radicali per costruire tutti quelle migliaia di kanji! Per farti capire, il cinese ha una lista ufficiale di 214 radicali.

Possiamo quindi considerare ogni kanji come una struttura contenuta in un quadrato e composta da uno o più radicali. Ad esempio, abbiamo il radicale 女, che in generale veicola il significato di donna e che da solo può costituire il kanji  女 (donna).
Associato ad altri elementi, ad esempio può dare  妹 (sorella minore), 好 (amare) o anche 安 (pace / economico).

Nota però che alcuni radicali possono cambiare aspetto in funzione della loro posizione nel kanji. Così il radicale 心 (cuore) ha un aspetto schiacciato in 意 (idea). Prende però la forma 忄a sinistra, come in 慢 (fierezza), o più raramente ⺗ in basso, come in 恭 (rispetto).

Se consideri  i kanji come combinazioni di elementi più piccoli, sono più facili da capire e memorizzare.

Il numero dei tratti

Si tratta di un altro elemento di classificazione che torna spesso. La scrittura giapponese è molto codificata, quindi ogni kanji si scrive tracciando un numero determinato di tratti. Quindi i kanji 木 (albero) e 本 (libro) si differenziano per il numero di tratti: quattro nel primo, cinque nel secondo.

Le letture dei kanji

Le letture (読, yomi) rappresentano un altro rompicapo per chi studia giapponese. Ogni kanji ha più letture che corrispondono ad altrattante pronunce diverse.

Come abbiamo visto nella prima parte, i giapponesi hanno usato i caratteri cinesi ben presto per annotare le loro parole. Hanno anche preso in prestito una buona parte del vocabolario cinese (e coreano) e l’hanno adattato al loro gusto.
Come risultato di questa situazione ibrida, i kanji servivano sia a scrivere parole originarie giapponese che altre di origine cinese.

Senza entrare in dettagli noiosetti, si possono individuare due pronunce dei kanji: la lettura kun e la lettura on.

Lettura kun (kun’yomi, 訓読み) o puramente giapponese

La lettura kun (o lettura semantica) corrisponde alla trascrizione delle antiche parole giapponese grazie alla scrittura cinese. Detto diversamente, c’è una pronuncia preesistente e i kanji servono solo per annotare il senso, da qui l’idea di “lettura semantica”.
Ad esempio, una lettura kun del kanji  水 (acqua) è mizu, parola derivata dal giapponese arcaico.

Trucco : i kanji scritti da soli (e non uniti per formare una parola) sono generalmente pronunciati con la lettura kun. Quando il kanji 京 è usato da solo per dire “la capitale”, si pronuncia みやこ (miyako) in lettura kun.

Lettura on (on’yomi, 音読み) o sino-giapponese

La lettura on (o lettura sonora) corrisponde al valore fonetico del carattere cinese al momento della sua integrazione nella lingua giapponese. Se conosci il cinese, troverai con piacere delle radici già note. Così la parola 電話 si legge denwa in giapponese e diànhuà in mandarino. Certo, il giapponese ha lasciato del tutto cadere l’aspetto tonale del cinese.
Per riprendere l’esempio di prima, una lettura on del kanji 水 è sui e si avvicina al mandarino shuǐ.

Trucco n°1 : i kanji uniti per formare una parola più lunga sono generalmente pronunciati in lettura on. Quando il nostro kanji 京 è usato in 東京 (Tōkyō, cioè “capitale dell’est”), si pronuncia kyō, quindi in lettura on.

Trucco n°2 : quando una vocale è lunga, ci sono molte probabilità che si tratti di una parola di origine cinese. La lettura è quindi quasi sempre on. In giapponese le vocali lunghe sono un residuo del sistema tonale usato nelle parole di origine cinese.

Norme di scrittura delle letture

In giapponese le letture kun sono scritte in hiragana e le letture on in katakana. Ad esempio,  per 水 : mizu, SUI / みず, スイ.

Bisogna imparare a memoria queste letture?

Questo è un argomento particolarmente sensibile. Alcuni metodi di insegnamento fanno imparare i kanji con le letture, mentre io credo sia per lo più una perdita di tempo, almeno finché non hai raggiunto un livello avanzato.

Alcuni kanji molto usati hanno numerose letture che corrispondono per lo più a date diverse in cui la parola è entrata nel vocabolario giapponese. Non solo il giapponese si è molto evoluto nel corso della sua storia, ma ha anche importato parole da vari eregioni della Cina e in vari eepoche diverse. Quindi ci ritroviamo con le letture go-on, kan-on, tō-on e kan’yō-on, ateji… Buona fortuna col ricordarti tutto senza punti di riferimento!

A rischio di farmi affettare con una katana dai puristi, a me sembra più efficace imparare a tracciare e riconoscere i kanji. Li ritroverai nelle parole e ne potrai così dedurre la lettura.
Personalmente, non ho avuto bisogno di imparare a memoria le letture di un kanji come 月 per riconoscere la lettura kun つき nella prola 月 (tsuki, “luna, mese”) o la lettura on ガツ in 一月 (ichigatsu, “gennaio”).

Imparare l’alfabeto giapponese e i kanji

Come abbiamo visto, i romaji (alfabeto giapponese) non ti porrà problemi. Per imparare i kanji è inutile mettersi fretta, come in generale per imparare la lingua: è un lavoro sul lungo periodo, ti serviranno molti mesi per acquisire le basi della scrittura. Se i kana sono un prerequisito per uno studio serio del giapponese, non vale lo stesso per i kanji: se proverai a impararli prima di avere creato le tue prime frasi in giapponese, avrai messo il carro davanti ai buoi!

Impara i kanji un po’ per volta, uno al giorno come minimo, usa la ripetizione dilazionata (ad esempio la nostra app MosaLingua Giapponese) e dei metodi che funzionano per associazione di idee, come Remembering the kanji di James Heisig. 頑張って!

Per approfondire