Se vuoi imparare il giapponese, la principale difficoltà è senza dubbio nella scrittura, che per questa lingua è piuttosto complessa e soprattutto diversa dall’alfabeto latino. In una serie di 3 articoli ti sveleremo i segreti dei sistemi di scrittura giapponese, cioè katakana, hiragana e kanji. In questo primo post hai una presentazione generale; passeremo ai dettagli nei prossimi. Prima di tutto, quindi, seguimi in una breve panoramica storica, necessaria per capire il funzionamento dei sistemi di scrittura giapponese e per farti notare che, sebbene le due lingue non siano legate, è simile al cinese.
Articolo aggiornato il 23.5.2023
Cosa troverai in questo articolo?
Dalla scrittura cinese alla scrittura giapponese: i kanji
Non c’è bisogno di essere esperti linguisti per vedere che il giapponese usa i caratteri cinesi (ideogrammi). Tuttavia, le due lingue non hanno niente in comune: il cinese fa parte delle lingue sinotibetane mentre il giapponese appartiene al piccolo gruppo delle lingue nipponiche. E non è neppure l’unica lingua che ha preso in prestito dal cinese i suoi curiosi caratteri, che in Giapponese si chiamano kanji: anche il vietnamita (scrittura chữ nôm) e il coreano (hanja), nonostante il loro uso sia quasi scomparso nel primo e piuttosto marginalizzato nel secondo.
C’era una volta, in un arcipelago molto lontano…
All’origine, il giapponese non aveva un sistema di scrittura. Era quindi solo una lingua orale, e questo fino al V secolo. Invece la Cina aveva creato il suo da circa un millennio! Naturalmente, la scrittura cinese si è diffusa poi nell’arcipelago nipponico tramite degli oggetti che riportavano dei sinogrammi e che i giapponesi dell’epoca non sapevano leggere.
A partire dal V secolo, con l’intrecciarsi di relazioni diplomatiche tra Cina e Corea, gli scribi hanno l’incarico di iniziare una corrispondenza scritta in cinese. I giapponesi si chiesero allora come usare questi caratteri stranieri per trascrivere la propria lingua.
La creazione progressiva dei sistemi di scrittura giapponese
A poco a poco, i letterati giapponesi iniziano ad utilizzare alcuni sinogrammi solo nel loro valore fonetico, senza tenere in considerazione il significato. Per capirci, è come se noi usassimo i caratteri cinesi per scrivere in italiano. Questi primi caratteri veramente nipponici di chiamano man’yōgana e sono gli antenati dei kana, i caratteri propri dei sistemi di scrittura giapponese.
La comparsa dei kana
Due sillabari derivati dalla scrittura cinese
Secondo la tradizione, i kana sono stati inventati da Kūkai, un prete buddista del IX secolo. Una cosa è sicura, il katakana (片仮名) all’inizio serve come notazione per poter leggere i testi buddisti scritti in kanji. Invece, lo hiragana (平仮名) deriva dalla scrittura corsiva. È per questo motivo che il katakana ha un aspetto molto angolare mentre lo hiragana è più arrotondato.
I kana sono sillabari, il che significa che, ad eccezione della “n finale” (ん / ン) un po’ particolare, ogni segno serve a scrivere una sillaba intera e non solo una lettera.
Adozione progressiva da parte della popolazione
Per più secoli lo hiragana resta appannaggio delle donne dell’alta società, meno istruite degli uomini, i quali preferiscono continuare ad usare i kanji. Nasce una ricca letteratura femminile scritta in hiragana, come il famoso Genji Monogatari (源氏物語) datato XI secolo. Questa particolarità vale allo hiragana il soprannome di Onna-moji (女文字), letteralmente “caratteri delle donne”. Poco a poco, i kana si integrano nella scrittura popolare e finiscono per essere usati indifferentemente da entrambi i sessi.
A partire da una riforma del 1900, il sistema dei kana permette di fissare la scrittura giapponese: a ogni carattere (kana) corrisponde una sola sillaba. Le varianti hiragana così eliminati vengono oggi chiamati hentaigana (変体仮名) e sono soprattutto usati per dare uno stile arcaico alla scrittura.
Una lingua, tre sistemi di scrittura
Oggi, quindi, si usano tre sistemi di scrittura giapponese, kanji, katakana e hiragana. C i sono anche due sistemi secondari: rōmaji (ローマ字), cioè l’alfabeto latino, e arabia-sūji (アラビア数字) per i numeri. Ad esempio:
9月にスぺインに行きます。
A settembre vado in Spagna
In questa frase possiamo distinguere due kanji (月 e 行), dei katakana (スぺイン, Spagna), un numero arabo e degli hiragana (tutto il resto).
Quale sistema per quale uso?
Ora vediamo in quale caso usare ognuno di questi sistemi di scrittura giapponese:
- Kanji: i kanji sono in qualche senso il sistema di scrittura centrale perché servono a scrivere i nomi, le radici dei versi e degli aggettivi.
- Hiragana: il sistema hiragana permette di scrivere la grammatica giapponese, come le terminazioni dei verbi e degli aggettivi, prefissi e suffissi. Alcune parole molto frequenti sono solitamente scritte in hiragana più che in kanji. Ad esempio, è più frequente vedere どこ (doko, “dove”) che 何処 (stessa parola in kanji).
- Katakana: l’uso principale del katakana è la trascrizione delle parole straniere (tranne i numerosi prestiti da cinese e coreano). Ad esempio, パン (pan, “pane”) viene dal portoghese pão, ナイフ (naifu, “coltello”) dall’inglese knife, etc. Il katakana serve anche a scrivere le onomatopee, i nomi scientifici degli animali o pure a rendere più visibili le scritte sui cartelloni pubblicitari.
- Rōmaji: il ricorso all’alfabeto latino permette molto semplicemente di trascrivere i nomi giapponesi in un sistema di scrittura più comprensibile agli occidentali. Anche gli acronimi sono scritti con questo sistema, tipo NHK (Nihon Hosō Kyōkai), il servizio pubblico radiotelevisivo.
- Numeri arabi: ovviamente esistono kanji per i numeri e i loro nomi : 一, 二, 三, 四… Tuttavia le cifre arabe sono molto usate, ad esempio per le date, 2016年10月16日 (16 ottobre 2016).
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